Invasione e saccheggio di Campli

A Campli si registrano, al contempo, una rappresaglia e un saccheggio, il 24 ottobre 1860 (Saccheggio di Campli, olio su tela, cm 100×70 – opera n. 11). Accade che un pattuglione della Guardia Nazionale, mentre fa una ricognizione in direzione di Civitella, noti sulla collina come alcuni uomini sventolino la bandiera borbonica. Ritenendo tale atto un’intimidazione, le guardie inseguono e uccidono Pietro Diodati di Cesenà, fratello di chi ha issato la bandiera e guidato il pugno di uomini. Essendo Cesenà una frazione del Comune di Campli, il Consiglio di Civitella mette, allora, in atto la rappresaglia, inviando a Campli una compagnia, formata da tre colonne (in ognuna è presente un sacerdote). L’esercito effettua prima il bombardamento; poi, lascia la cittadina al saccheggio dei contadini, ritirandosi dopo avere requisito quattrocentocinquanta fucili, dieci cavalli e dopo avere arrestato ventiquattro dei rivoltosi (portati, evidentemente, alla fortezza!).

La devastazione è immane; tre sono i morti fra cui una donna, trentasettenne. Coccia ha immaginato l’accaduto davanti all’imponente chiesa. Egli dipinge l’atomo opaco del Male (come direbbe Giovanni Pascoli in X agosto) sulla strada e la sovrastante armonia di pace che promana, invece, dall’edificio di culto. Nella tela compare anche un frate in ginocchio e orante: prega il Signore affinché cessi l’orrore del saccheggio. Ecco riemergere l’Abruzzo della spiritualità di cui abbiamo traccia, ancora oggi, negli eremi, monasteri, centri di culto e di pellegrinaggio, chiese e cattedrali.