Mario Capuani 

Pediatra ed eroe della Resistenza di Bosco Martese

Testo del Prof. De Marcellis

Il 19 giugno 1908 a Torricella Sicura, nasce Mario Capuani. E’ figlio di Angiolina Franchi e di Francesco Capuani, un medico-chirurgo che esercita la professione nell’ambulatorio annesso alla sua abitazione,
un villino circondato da alberi che sorge ai margini del paese. Mario è un giovane pieno di vita. Ama muoversi ed ha la passione per i mezzi motorizzati. Qualcuno lo ricorda durante le sue vacanze estive a Giulianova, cavalcare una moto G.D. con il rumoroso tubo di scappamento truccato o navigare in barca a vela. Il grande spirito umanitario che si manifesta nel giovane Mario, lo porta a scegliere lo stesso mestiere del padre: quello di medico.
Dopo aver frequentato il Liceo annesso al Collegio Militare “S. Michele” in Roma, Mario Capuani si laurea in medicina e chirurgia all’Università di Roma nel 1932, discutendo una tesi che riscuote il plauso del Senato Accademico; subito dopo supera i difficili esami di Stato. Si reca a Padova per conseguire la specializzazione in Pediatria, conquistandola a pieni voti in due anni. Al termine di questo periodo inizia ad esercitare la professione. Apre il suo studio a Teramo, in Via Delfico, utilizzando a volte anche quello paterno di Torricella quando deve prestare la sua opera alla clientela proveniente dai paesi dell’entroterra teramano. Per i suoi numerosi spostamenti usa dapprima un’automobile 509, poi una Ford, quindi una Topolino di colore scuro. Il suo arrivo nei paesi di montagna in soccorso degli ammalati è preannunciato dal rombare della sua automobile. Vivace ed irrequieto, non nasconde la sua precoce avversione al Regime fascista e per questo Mario è sottoposto a vigilanza poliziesca. Richiamato alle armi, in qualità di Ufficiale medico, nel 1940, all’inizio delle ostilità viene trasferito sul fronte francese. Trovandosi in Piemonte durante l’invasione della Francia, varcò il Moncenisio con l’Ospedaletto da campo n. 4 sostando ovunque per curare i feriti. In quelle circostanze difficilissime Capuani dà prova di grande umanità e capacità professionale di medico, prodigandosi instancabilmente nella cura dei giovani corpi straziati di commilitoni che giungono dalle prime linee. Ciò gli varrà un encomio solenne da parte del comandante del suo reggimento. E’ in seguito trasferito nelle Puglie per prestare la sua opera negli ospedali da campo nei quali erano ricoverati gli uomini impegnati nella sfortunata campagna italo-greca. Qui ebbe modo di verificare, ancora una volta, la tragedia che si andava consumando, dovendosi prendere cura di giovani feriti e mutilati, vittime della guerra voluta dal fascismo. Congedato, ritorna al suo lavoro di ‘pediatra’. Viene nominato Presidente dell’Opera Maternità ed Infanzia. Ha un animo generoso. Molti testimoniano che Mario non ha voluto esser pagato per la sua preziosa opera, in moltissime occasioni, soprattutto se la famiglia era in condizioni economiche svantaggiate. Polli o altra mercanzia venivano rimandati indietro. Ad un cliente che gli disse di non avere soldi per pagarlo Mario rispose: «Non ti preoccupare. Fra poco devo recarmi ad Isola del Gran Sasso per curare un membro di una famiglia benestante. Pagheranno loro per te». Nel paese di Magnanella, un’epidemia sta portando alla morte diversi bambini. Capuani riesce a trovare la cura adatta e salva un bambino in fin di vita. Gli abitanti del paese iniziano a chiamarlo “Il Santo”. Capuani fu nominato anche “Direttore Generale dell’Opera di assistenza della Maternità e Infanzia”. All’umanitario Istituto diede in breve tempo, assetto moderno al quale derivò la maggiore utilità sociale in tutti i comuni della provincia. Con il passar del tempo, intanto Mario si prodiga sempre più nel diffondere idee contro la dittatura fascista e il dominio nazista. Sente anche di dover dare un ulteriore contributo attivo per la riaffermazione della democrazia e fonda, insieme con altri, il Partito d’Azione teramano, rivestendo un ruolo attivo. Capuani inizia a coinvolgere se stesso in compiti rischiosi per diffondere la lotta antifascista, anche per mezzo di stampa clandestina (in particolare del giornale “L’Italia Libera”), propagandando la raccolta di fondi a favore dei perseguitati politici e partecipando con cospicui contributi personali. Vorrebbe anche stampare manifesti per lanciare un invito alla popolazione ad insorgere. Ma viene sconsigliato da questo proposito per dar modo ai partigiani di organizzarsi meglio e per avere anche modo di capire le reali intenzioni dei tedeschi. Intanto la notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, viene presa con entusiasmo dagli antifascisti, perché rappresenta la fine dell’alleanza con i nazisti voluta da Mussolini. Ma l’Italia inizia a vivere un’autentica tragedia. Molte città cominciano a subire bombardamenti; tutto sembra essere perduto. Di giorno in giorno appare necessaria un’unione di tutte le forze vive d’Italia. Mario Capuani sente di dover aumentare il proprio impegno. Diventa per molti un punto di riferimento e, nel suo studio teramano di Via Delfico, si riunisce il “Comitato insurrezionale”, – organizzato da comunisti e azionisti, con l’adesione dei cattolici, socialisti e democratici – per decidere la strategia di lotta da adottare. Mario, che conosce come nessun altro i monti sopra Torricella, propone, quale roccaforte per la guerriglia, la zona di Bosco Martese (denominata anche «Ara Martese», piccola piana circondata da boschi dove il destino ha voluto che un tempo sorgesse un’Ara dedicata a Marte, dio della guerra) ed in particolare la località chiamata “Ceppo”, luogo sito alla fine di una strada provinciale carrozzabile, circondato da boschi secolari e con alle spalle la sicura protezione della catena montuosa della Laga. La proposta è accettata all’unanimità. Lo spostamento da Teramo a Bosco Martese inizia intorno al 20 settembre, quando appare chiaro che i tedeschi, spalleggiati dai fascisti, avrebbero di lì a poco dominato il territorio della provincia. Inizia quindi un ininterrotto esodo verso Bosco Martese dei soldati comandati dal capitano dei carabinieri Ettore Bianco, reduce dai combattimenti in Grecia. Egli viene coadiuvato dal ten. Col. Guido Taraschi e da alcuni ufficiali subalterni tra cui il cap. Gelasio Adamoli (futuro sindaco di Genova), Carlo Canger, Giovanni Lorenzini e da civili, capi riconosciuti dell’antifascismo, quali appunto Mario Capuani, Armando Ammazzalorso e Felice Rodomonte. Nei giorni che precedono il 25 settembre sale al “bosco” a piedi, in bicicletta, su camion, autobus, macchine, anche gente di tutte le condizioni sociali e di tutte le età: studenti, giovanissimi, intere famiglie, autorevoli esponenti dell’antifascismo teramano, soldati sbandati del dissolto esercito italiano, insieme ai numerosi prigionieri fuggiti dai campi di concentramento della provincia, jugoslavi ed inglesi in prevalenza, ma anche canadesi, neozelandesi, australiani, statunitensi, un indiano. Si accampano scomodamente in tende, alimentandosi per mezzo di ranci di fortuna. La capanna del Ceppo diviene, per volontà del capitano Bianco, la sede del Quartier generale partigiano. Si decide strategicamente di formare cinque compagnie perché bisogna essere pronti ad attaccare i nazisti per poi dividersi in altrettanti gruppi nei boschi, secondo la tattica della guerriglia. Sono giorni febbrili di preparazione. La stagione è splendida, anche se è settembre, e fa caldo. Vincenzo Orsini prova ad impiantare una stazione radio trasmittente. Non vi riesce per mancanza di qualche pezzo. Mario Capuani, per mezzo della sua Topolino s’incarica di fare la spola tra Teramo e il Ceppo per portare notizie ai combattenti arroccati sul luogo. Di notte diversi uomini scendono a valle, per caricare materiale dai magazzini delle caserme, ormai quasi vuote. Il mulino De Iacobis di Villa Tofo diventa un avamposto partigiano, in quanto vi si macina grano, essenziale per l’approvvigionamento alimentare di coloro che si erano rifugiati in montagna. Qui vengono raccolte le vettovaglie prelevate dalle caserme di Teramo. Si cerca di radunare anche più armi e munizioni possibili. Capuani è parte attiva anche in questa raccolta, acquisendo, tra l’altro anche mezzi motorizzati. Intanto giungono i primi contingenti tedeschi a Teramo. Nonostante l’occupazione, Mario Capuani, Antonio Rodomonte ed altri, a Collurania, disarmano alcuni fascisti e portano al “Bosco” il bottino: una mitragliatrice e 5 cassette di munizioni. Il 25 settembre i tedeschi, chiamati a Teramo dai traditori fascisti, preparano immediatamente una spedizione in forze verso il Bosco Martese. Per ben tre volte, durante la notte precedente, il console della milizia Aristide Castiglione aveva telefonato presso i comandi nazisti dell’Aquila e di Pescara perché mandassero delle truppe a Teramo per reprimere l’iniziativa in atto nel bosco teramano. Capuani non esita a ripartire in fretta verso i monti per informare gli uomini arroccati sul posto. Con lui, va suo cugino Francesco Franchi. Intanto, alle 10.30 anche i carabinieri di Valle Castellana avvertivano i partigiani alla macchia che Teramo era occupata dalle truppe tedesche. La paura s’impadroniva un po’ di tutti: pensavano alle mogli, ai bambini, ai vecchi che erano rimasti a casa e che certamente sarebbero diventati vittime della rappresaglia nazista. Allertati i compagni, Capuani vorrebbe rimanere, ma non è possibile: solo lui è in grado di garantire l’informazione tra monte e valle. Decide quindi di tornare al suo posto di sentinella, la sua casa di Torricella. I tedeschi giunti a Teramo dal Pennino (Collurania), alle cinque di mattina, occupano la caserma Costantini, quindi si recano ad assediare la caserma dei carabinieri di piazza del Carmine -nella quale era stata organizzata la rivolta – e non vi trovano nessuno. La caserma viene brutalmente svaligiata. Il sangue ribolle nelle vene dei teramani costretti ad osservare, inermi, lo svolgersi dei fatti. Nella stessa piazza, nelle vicinanze della chiesa, intanto si fa avanti un certo Luigi Di Marco (non si sa per suo conto o per ordine di qualcuno), parla con i tedeschi nella loro lingua che conosceva forse per essere stato in Germania. Quasi sicuramente sta facendo la spia perché viene visto anche consegnare una mappa probabilmente con l’indicazione dei luoghi dove si nascondono i partigiani e delle vie d’accesso per raggiungerli. Forse riferisce pure che tra i partigiani vi sono anche i carabinieri. Alcune donne, che avevano seguito con sguardo torvo la scena, accortesi della spiata, si lanciano addosso al Di Marco colpendolo con tutto ciò che capita loro a tiro, con i loro zoccoli di legno, con i bastoni, i sassi, tirando i capelli al malcapitato e conficcandogli le unghie nella carne. Invano il disgraziato grida aiuto; invoca pietà. Gli irriconoscenti camerati dell’Asse non battono ciglio ed uno di loro, pare, maledice lo spione con queste parole: «Omo, oggi non bono per voi, dimane per noi!». L’uomo, rimasto a terra senza vita, viene gettato da quelle donne nella limitrofa scarpata del fiume Tordino, al di là del muro della circonvallazione che cinge la città. Probabilmente i loro uomini, fratelli, amici, erano tra i rifugiati al “bosco” ed il traditore li aveva messi in pericolo con la sua spiata. I tedeschi vanno quindi – evidentemente bene informati – a prelevare il maggiore dei carabinieri Luigi Bologna, rimasto a Teramo perché da poco rientrato dalla guerra d’Albania con regolare licenza di smobilitazione. Il milite dell’Arma viene collocato nella parte anteriore dell’autoblindo insieme ai giovani teramani Bacchetti e Cordone (VEDI NOTA 1). I tedeschi sperano che così facendo i partigiani evitino di sparare sulla comitiva. Partiti alle ore 11,00 da Teramo, con trentadue mezzi carichi di soldati tedeschi accaldati e armatissimi, la colonna motorizzata attraversa Corso San Giorgio e muove verso Rocca Santa Maria. A Torricella la colonna si ferma; viene interrogato il comandante dei carabinieri del paese. La colonna riprende poi la sua marcia verso la montagna. Giunta nei pressi del mulino, la comitiva incontra malauguratamente un uomo seduto su un paracarri, ai margini della strada. L’uomo viene interrogato ed invitato a dire dove si nascondono i ribelli. L’uomo indica con la mano il casale che si vede a valle della strada, di proprietà del De Iacobis. E’ quello l’avamposto in cui i partigiani avevano cercato di portare più roba possibile per difenderla dagli invasori, comprese le armi. Una cinquantina di tedeschi vi si recano e lo circondano. I resistenti sono sette in tutto, ancora non bene organizzati. Non si aspettano che i tedeschi salgano così rapidamente verso la montagna. Vengono sorpresi mentre si accingono a pranzare e non riescono ad opporre resistenza (VEDI NOTA 2).
I partigiani vengono fatti uscire, la loro condanna è la fucilazione. La pena viene sospesa, temporaneamente, per il coraggioso intervento del maggiore dei carabinieri Bologna. Insieme ai sette partigiani la colonna riprende a salire verso la montagna. Mario Capuani e Francesco Franchi intanto, lasciati i resistenti, sono ripartiti dal Ceppo e stanno tornando con l’automobile verso valle. Lungo la strada, i due avvistano la colonna motorizzata tedesca che sale verso i monti. I tedeschi aprono il fuoco della mitragliatrice contro l’autovettura che si avvicina, forse avendo riconosciuto il modello d’automobile che qualche spia poteva aver segnalato loro. I due cugini riescono a salvarsi, rovesciando la macchina in un fossato e dileguandosi nella campagna. Raggiunta a piedi Torricella, Capuani si separa da suo cugino. Forse un notte dorme in una casa di Piano Grande, presso amici. Intanto i tedeschi giungono al Ceppo alle 12,30. Iniziano i combattimenti. I partigiani, appostati nel bosco sovrastante le ultime curve della strada che conduce al piazzale del Ceppo, iniziano a sparare. Il tenente d’artiglieria Gelasio Adamoli e suo fratello Altobrando sparano colpi di cannone. A questi fanno seguito i colpi della mitragliatrice S. Etienne portata in precedenza al “Bosco” da Mario Capuani e azionata da Ricci detto “Macinino” (un macellaio che aveva l’esercizio commerciale nei pressi della Stazione ferroviaria di Teramo). I tedeschi rispondono con i loro mitragliatori. Il comandante tedesco Hartmann, baldanzoso e abituato a comandare, forse convinto di registrare una facile resa tra gli italiani, scende dall’automezzo e con il megafono ordina agli italiani nel Bosco di arrendersi gridando: «Cessate il fuoco. Cessate il fuoco». Questi non demordono ed egli è costretto a rifugiarsi in un cunicolo (tombino) che attraversa la strada in quel punto. La colonna tedesca viene scompaginata. Parecchi mezzi sono resi inutilizzabili. Il tentativo di aggirare sulla destra i rifugiati nel bosco fallisce sul nascere. Cadono i nostri ma cadono anche i nazisti. I tedeschi dopo un’ora sono costretti a battere in ritirata verso Teramo. Rimangono sul campo oltre cinquanta vittime tedesche. Gli scampati decidono quindi di giustiziare rapidamente i partigiani che avevano catturato al mulino De Iacobis. Invano il carabiniere Bologna tenta di dissuadere ancora una volta i teutonici dal loro proposito. I sette vengono condotti nel luogo che viene scelto per la fucilazione, ai margini della strada, sul bordo di un precipizio. Berardo Lanciaprima, nel momento in cui la voce di un graduato tedesco grida «Italiani traditori, girarsi di schiena», ha la prontezza di saltare verso la scarpata correndo. Due tedeschi gli scaricano il mitra addosso. Egli, con una spalla perforata continua a correre. Il dolore quasi non lo sente. Correrà per circa un’ora e mezza e riuscirà a salvarsi. Gennaro Di Giamberardino, caduto a terra svenuto, viene creduto morto e si salva. Gli altri vengono fucilati. Sono Guido Belloni (falegname), Gabriele Melozzi (contadino), Guido Palucci (il popolare portiere della squadra calcistica di Teramo), Luigi De Iacobis (il mugnaio del mulino messo a servizio della causa partigiana) e Mario Lanciaprima (impiegato di banca) (VEDI NOTA 3).
Il maggiore tedesco Hartmann, intanto, rimasto isolato dai suoi commilitoni, che ormai sono tornati indietro verso Teramo, viene catturato poco dopo. Felice Rodomonte, con un gruppetto, si reca nel luogo in cui egli ha trovato riparo e lo cattura, costringendolo a dirigersi a piedi verso il piazzale del ‘Ceppo’, dove ha luogo il comando partigiano. Più tardi, a circa 100 m dall’area ove oggi sorge l’albergo, poco dopo l’inizio dell’attuale strada che scende a Pietralta, Hartmann viene fucilato, in risposta all’eccidio dei partigiani. Armando Ammazzalorso, durante la notte, scende a valle in perlustrazione insieme ai suoi. Sulla strada di ritorno incontra Sandro Rodomonte, appostato a sentinella della strada sotto una pioggia torrenziale. Giunto al Ceppo però, Ammazzalorso si accorge che non c’è più nessuno. I partigiani si sono dissolti, secondo la tattica preventivata. Capuani intanto fa ritorno nella sua casa di Torricella. Vorrebbe tornare lassù, curare i feriti, abbracciare gli amici e dividere con loro la gioia della vittoria. La madre e la sorella cercano di dissuaderlo, consigliandolo anche di nascondersi altrove, conscie del destino che potrebbe essergli fatale, ma lui insiste ribadendo che quando si ha un ideale si deve lottare per difenderlo. Decide per il momento di rimanere in casa, anche se questa è una decisione molto rischiosa. Quando si aggiunge anche la preghiera del padre a rimanere, Mario risponde: «Per me, prima della famiglia, ci sono la Patria e l’amicizia». Egli, come racconterà anni dopo la sorella Dora, sentendosi pienamente un medico, non vuole allontanarsi perché sente di dover prestare le sue cure a chiunque ne avesse bisogno, dall’una o dall’altra parte. E’ un grande idealista e forse non si rende pienamente conto del rischio al quale si espone. Solo per mancanza di mezzi rinuncia, quella sera, ad andare lassù. Non va neanche il giorno dopo, in quanto i nazisti pattugliano la zona ed anche perché immagina o sa che comunque gli amici si sono sciolti e dispersi nei boschi. Mario trascorre la giornata del 26, l’ultima della sua vita, con Francesco Franchi e con la sua famiglia, giocando anche con la figlia più piccola di lui e cantandole alcune filastrocche di fate che vincono, con i loro incanti, terribili draghi vomitatori di fuoco. Addirittura da lì, a 20 Km di distanza in linea d’aria, si cominciano ad udire gli scoppi dei cannoni tedeschi che, riorganizzatisi, sono tornati al Ceppo ed hanno iniziato a sparare a tappeto su tutto il bosco cercando di colpire alla cieca gli avversari. Qualche testimone più tardi affermerà che gli scoppi furono uditi perfino nell’abitato di Castelli, alle falde del prospiciente Gran Sasso, che con le sue pareti verticali in roccia calcarea fungeva da cassa di risonanza. Gli slavi si dirigono verso Ascoli, molti altri partigiani scendono verso Valle San Giovanni e Rodomonte si dirige verso Tottea. Sono momenti di gran preoccupazione per Mario Capuani e Francesco Franchi, ma non possono far nulla per aiutare i loro amici in montagna né possono unirsi a loro. A sera i due cugini si salutano, dicendosi che si rivedranno l’indomani. Mario trascorre una notte quasi insonne. Quando inizia a far giorno, una macchina si arresta davanti alla sua casa. La sorella si affaccia ad una finestra e scorge, nel buio, le sagome di alcuni militari tedeschi. Una voce, alterata in un accento vagamente romanesco, chiede se lì abita il dottor Capuani. La voce del traditore spiega che è necessario che il medico li segua, per curare alcuni loro compagni feriti rimasti a Santo Stefano. La porta viene aperta. L’ufficiale entra e spiega di nuovo che è necessario l’intervento del dottore. Un medico non rifiuta l’opera d’umanità di un soccorso e la sorella Dora va di sopra a chiamare il fratello. Lui la prega allora di nascondere immediatamente una pistola che aveva in casa forse portata con sé al ritorno dal fronte e le raccomanda: «Stai attenta a mammà». In seguito la sorella racconterà di aver capito, dall’atteggiamento di Mario, che in quel momento lui immagina quale possa essere il suo destino. Si veste e prepara i ferri da chirurgo per eventuali interventi che si rendessero necessari. L’ufficiale intanto apre le porte delle stanze e alcuni cassetti (la perquisizione non darà frutti). Taglia anche i fili del telefono. I tedeschi interrogano la famiglia chiedendo se conoscono il capitano Bianco e se è mai stato in quella casa. I familiari negano di aver conosciuto o aver ospitato in famiglia il capitano. Intanto Mario scende; sta per uscire dalla porta quando la madre lo prega di prendere il pastrano. Una voce annoiata taglia corto: “Non necessario. Tra due ore dottore essere di nuovo qui”. Mario esce. E’ circondato dai suoi nemici. Viene fatto salire su una macchina che prende la direzione del Bosco. I familiari intanto si accorgono del taglio del filo telefonico e capiscono a cosa Mario sta andando incontro. L’automobile raggiunge Santo Stefano; è appena giorno. Qui Mario viene fatto salire forse su una motocarrozzetta che prosegue verso la capanna del Ceppo. Le sue mani sono legate da una corda. Lo affermò una donna alla quale chiese un bicchiere d’acqua che gli aguzzini gli impedirono di bere. Alla capanna attendono alcuni ufficiali. Facce torve, gelido brillare di sguardi. Il “processo” è breve. Un italiano rinnegato, che ivi assiste, racconterà lo svolgersi dei fatti, in seguito, al cugino Nino. I tedeschi chiedono al giovane Capuani: «Ammettete di essere stato un organizzatore dell’impresa di Bosco Martese?». Mario risponde senza indugio: «Sì, perché questo era il mio dovere di italiano!». Pausa. «Chi sono stati i vostri collaboratori?». Silenzio sdegnoso. «Volete collaborare con la repubblica fascista?». Un grido: «Mai». Lo si ingiunge di scavarsi la fossa ma egli, assalito dal terrore per la fine imminente non vi riesce. Mario viene assassinato con una revolverata alla nuca, all’età di 36 anni, vicino ad una fontana, nel luogo dove ora sorge l’albergo. Sarà sepolto in un campo di fagioli, nei pressi della casa cantoniera che oggi si può osservare al Ceppo. «Non bene pro toto libertas venditur auro», si legge sulla targa apposta nel frontone di casa ‘Catenacci’ in Teramo, edificio di proprietà Capuani dove, dopo la morte di Mario, vivranno il padre, la madre e la sorella Dora, non riuscendo più a stare nella casa di Torricella che rievocava in loro i tragici ricordi: la libertà non si vende e non si compra, perché tutte le ricchezze della terra non valgono il suo dono divino. E bene lo sanno tutti quei martiri della Resistenza che, come Mario, sacrificarono le loro giovani vite per l’alto ideale della Patria e per restituire la libertà alle generazioni future. Grazie alla bravura di ‘medico’, numerose persone testimoniano di essere state curate e salvate da lui, alcune delle quali hanno conservato gelosamente nei loro portafogli, come reliquie, le ricette scritte di suo pugno. Un ringraziamento al Capuani ‘martire’ noi tutti lo dobbiamo perché anche grazie a lui noi possiamo oggi godere del dono della libertà. Grazie ancora nostro eroe, vero esempio di valori e d’ideali, perché noi, oltre al dono della libertà, possiamo anche ritenerci onorati di appartenere al mondo degli uomini.
Mario Capuani dopo la morte
Dopo il forzato allontanamento di Mario dalla sua abitazione a Torricella, nessuno sa cosa gli sia accaduto. Nei giorni successivi alcune voci riferiscono che Mario sia stato visto in un luogo, altre voci contraddicono affermando che Mario sia stato visto in altro luogo. Sono momenti di grande preoccupazione per la famiglia. La sorella Dora si inginocchia in mezzo alla strada davanti alla colonna dei tedeschi che periodicamente si reca verso la montagna, implorando i tedeschi di dire dove sia Mario. I mezzi la scansano e tirano avanti. Il cugino Domenico Nino Capuani (che d’ora in poi chiameremo Nino) si mette alla ricerca di notizie attendibili. Si reca al comando tedesco che si trovava nell’Albergo Giardino, dove risiede un ufficiale tedesco altoatesino molto gentile che conosce. Il tedesco nega di avere informazioni sulle sorti di Mario Capuani. Nino si reca quindi in Prefettura. Qui scopre, per caso, la verità. Un dipendente sta riferendo ad un suo collega di ufficio che Mario Capuani è stato fucilato al Ceppo. Nino Capuani, appresa la notizia, si reca di nuovo presso il comando tedesco per chiedere la conferma dell’informazione appresa. Questa volta l’ufficiale non nega – «Si effettivamente c’è stato un errore, purtroppo è successo» – gli dice. Il problema ora è quello di recuperare la salma. Nino raggiunge un accordo con i tedeschi: potrà andare al Ceppo a recuperare la salma insieme ad un gruppo di soldati tedeschi, se però sarà accompagnato da un’altra persona. Viene fissato anche il giorno per il recupero. Nino comincia a chiedere ad amici e parenti di accompagnarlo ma nessuno ha il coraggio di andare lassù. Solo Raffaele Di Carlantonio, un fioraio di Teramo (ultimamente aveva il negozio di fiori lungo Corso S. Giorgio) si presta a fare da accompagnatore. Mario Capuani gli aveva curato una figlia ed egli si sentiva riconoscente verso il ‘pediatra’ dalle grandi doti umane e professionali. Il giorno stabilito, Nino e Di Carlantonio, seduti sul cassone di un camion insieme ad altri soldati tedeschi percorrono i 40 chilometri di strada tortuosa e non asfaltata che da Teramo conduce al Ceppo. Un soldato a destra e uno a sinistra del camion seduti sui passaruote, controllano possibili attacchi laterali di partigiani eventualmente appostati lungo la strada. Nei pressi della casa cantoniera che ancora oggi è presente, si inizia a scavare. E’ lì che è stato seppellito Mario Capuani. Il cugino Nino non ha dubbi, identifica il corpo di Mario con sicurezza. Risulta essere in buone condizioni. Il freddo della montagna lo ha preservato. Mario non sembra aver subito violenze. Ha un foro nella testa e un labbro deformato come in una smorfia, generato forse dal colpo di pistola che gli avrebbe provocato una contrattura per la rescissione di un legamento del viso. Nella fossa però ci sono in totale 5 corpi. Gli altri quattro uomini non hanno documenti e della loro identità non si riuscirà mai a saper nulla. Forse uno è un carabiniere. Intanto il fioraio Di Carlantonio, che si era prestato a fare da accompagnatore, si espone ad un rischio mortale. Allontanatosi per un attimo dal gruppo che stava scavando, quando si riavvicina non viene immediatamente riconosciuto da un tedesco che controlla la zona. Per poco non viene mitragliato. L’accordo fatto con i tedeschi è quello di poter tumulare Capuani presso la cappella di famiglia sita nel cimitero di Torricella Sicura. Non si dovrà però fare alcuna cerimonia o funerale pubblico. Così sarà. Il funerale sarà officiato nella chiesetta all’interno del cimitero. Padre, madre e sorella non parteciperanno forse per rispettare un accordo con i tedeschi o perché ne saranno informati solo in seguito o perché il dolore è troppo insopportabile per loro. (In famiglia c’era già stato un evento luttuoso: una sorella di Mario, Maria sposata Di Curzio, era morta all’età di trent’anni a causa di un parto). Saranno presenti alla tumulazione invece il cugino Nino e sua moglie. Probabilmente anche le altre quattro salme vengono seppellite nel cimitero di Torricella. In seguito, a Nino Capuani, si rivolgeranno diverse persone per capire se tra quelle salme c’era un parente o un familiare ma non sarà possibile poter dare loro una risposta certa. La casa di Torricella è troppo carica di ricordi che rinnovano continuamente nei familiari l’inteso dolore per la morte di Mario e decidono di trasferirsi a Teramo nella casa che hanno in proprietà, chiamata casa “Catenacci”, già ex Teatro Corradi (l’unico edificio con i portici, sito in Via Veneto). L’abitazione era stata data in affitto e quindi non immediatamente usufruibile. Andranno in un primo momento a vivere in una casa nei pressi di Piazza Garibaldi, l’edificio con le maioliche sulla facciata esterna. La villa di Torricella, costruita nel 1911 (unica per la particolarità di avere un montacarichi per trasportare le vivande dalle cucine ai piani superiori), viene abitata solo nei periodi estivi dalla residua famiglia Capuani. La casa viene in seguito venduta alla prof.ssa Fulvia Celommi che vorrebbe farne la sede di una Fondazione dedicata a Mario. La prof.ssa vi farà anche dei lavori di sistemazione sperando di riuscire ad invitare il Presidente Pertini per la inaugurazione. Non riesce nel suo intento. Le va riconosciuto però un grande merito: quello di avere conservato l’originalità dei luoghi e preservato la casa dalla dispersione degli arredi rimasti. L’età avanza e nel 1999 i tempi sono maturi perché la casa possa essere venduta al Comune di Torricella, il cui Sindaco Ing. Emidio Delli Compagni, usufruendo di un finanziamento regionale sta per realizzarvi un centro studi ed un museo che sarà inaugurato il 25 aprile 2004. Il Comune di Torricella, negli anni passati ha già intitolato a Mario Capuani la piazza principale. Anche la città di Teramo ha fatto qualcosa per onorare la figura di Capuani, intitolandogli una via del centro storico. Nel 1951 inoltre, presso il parco della Villa Comunale, è stato inaugurato un monumento a lui dedicato, realizzato dallo scultore Venanzo Crocetti, su commissione di un Comitato popolare coordinato dal medico e senatore repubblicano Caporali. A Mario Capuani insieme a Orsini e De Cupis è stata assegnata la medaglia al valor militare (alla memoria) dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
NOTE:
1) Fortunatamente i tre giovani posti in testa all’autoblindo quali scudi umani, uscirono vivi dal fuoco contrapposto dei partigiani e dei tedeschi in cui si trovarono compresi. Cordone, che è ricordato come il gommista del quartiere di Porta Romana in Teramo, subì un’ampia ferita al braccio a testimonianza del pericolo mortale che lo aveva sfiorato. Bacchetti invece lavorava come giovane aiutante di lavanderia con Aldo Ammazzalorso, fratello di Armando.
2) Al mulino De Iacobis i sette partigiani, poco prima che arrivassero i tedeschi, si stanno alimentando con noci e vino. La moglie del mugnaio De Iacobis sta preparando le fettuccine. I fucili sono nell’aia. [Testimonianza di Ettore De Sanctis e della sig.ra Vicari, raccolta dal Prof. Sandro Melarangelo].
3) I corpi dei cinque partigiani rimarranno insepolti per molti giorni. Nei giorni successivi alla fucilazione, il sig. Arduino Correale si presenta al Potestà Ten. Col. Umberto Adamoli, per chiedergli di organizzare il trasferimento a Teramo delle vittime e dar loro degna sepoltura. Ma il Potestà non può soddisfare questa richiesta per le difficoltà oggettive che tale azione comporterebbe.
Le notizie derivano dalle testimonianze raccolte dal Prof. Sandro Melarangelo, da Venicio Galliè e dalle informazioni desunte dalle seguenti pubblicazioni:
– RICCARDO CERULLI e AA.VV., La Resistenza nel teramano, Teramo, Casa della Cultura, 1975;
– GABRIELE DI CESARE, Torricella Sicura. Lineamenti storici, Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura e Comune di Torricella Sicura, Isola del Gran Sasso, 1989, pp. 395-401;
– LUIGI PONZIANI, Anni di guerra. Teramo 1943-1944. Fascismo Resistenza Liberazione, Teramo, Biblioteca ‘M. Delfico’ e Assessorato alla Cultura dell’Amministrazione Provinciale di Teramo, 1994;
– LUIGI BRACCILI, Abruzzo tra cronaca e storia, 1918-1988, Pescara, Tipolitografia Brandolini, 1989, pp. 132-139;
– UMBERTO ADAMOLI, Nel turbinio d’una tempesta, Teramo, Tipografia Cioschi, 1947;