La guerra civile in Abruzzo 1860-1861. Opere di Renato Coccia.

Il rovinoso crollo del Regno delle Due Sicilie a seguito della spedizione dei Mille aveva messo
in luce la condizione di disfacimento in cui versava lo stato borbonico. Nella campagna militare del
regno meridionale, segnata da indecisioni, imperizie, viltà e tradimenti, risaltò la resistenza a
oltranza della Fortezza di Civitella del Tronto. Posta al margine nordorientale del Regno, la
fortezza, presidiata da una guarnigione di 600 uomini, resistette all’assedio dell’esercito piemontese
fino al 20 marzo 1861, quando già si era arresa la Fortezza di Gaeta ed era avvenuta la
proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861.
Nei sette mesi di assedio la fortezza fu l’epicentro di un vasto movimento insurrezionale,
diffuso in tutta l’area montana e pedemontana del Gran Sasso e dei Monti della Laga, tra Teramo e
Ascoli. La miccia scatenante l’insurrezione fu la convocazione, per il 21 ottobre 1860, del
Plebiscito per l’unione del Mezzogiorno al futuro Regno d’Italia. I contadini e i montanari,
organizzati a migliaia nelle bande dei briganti, scesero a valle e assaltarono, saccheggiandoli, i
comuni mal presidiati dalla Guardia Nazionale, colpendo soprattutto i borghesi e i galantuomini che
avevano abbracciato la causa unitaria e liberale. Il successo delle scorrerie, dei saccheggi e degli
attacchi a sorpresa era favorito dal ruolo svolto dalla Fortezza di Civitella del Tronto che fungeva da
centro direttivo e propulsivo dell’azione delle bande, anche attuando progetti coordinati con le
stesse, in base ad una attenta pianificazione.
Fino alla caduta della fortezza il brigantaggio nel teramano e nell’ascolano ebbe la caratteristica
di un movimento dichiaratamente legittimista e sanfedista, sia per il massiccio appoggio della
Chiesa e la cospicua presenza del clero nelle bande, sia per l’incitamento alla lotta da parte dei
Borboni, che continuavano a resistere nella fortezza in stato d’assedio di Gaeta. Successivamente il
brigantaggio perse gradualmente la connotazione legittimista, diventando un insieme frammentato e
scoordinato che operava con i tratti della violenza cieca e fine a se stessa. In queste condizioni il
brigantaggio teramano finì per alienarsi il sostegno, di cui aveva inizialmente goduto, di una parte
della popolazione e per subire l’attacco distruttivo dell’esercito italiano, che ne provocò il totale
esaurimento entro il 1861.
L’esposizione delle opere dell’artista Renato Coccia, che ha come oggetto il brigantaggio nel
teramano e l’assedio della Fortezza di Civitella del Tronto negli anni 1860-1861, consente
l’approccio a un mondo dimenticato dalla grande Storia. È dunque possibile ricostruire idealmente i
volti, le figure, l’abbigliamento, il contesto naturale e storico in cui si collocano personaggi e
vicende narrate che, nei quadri e nei disegni di Renato Coccia, riacquistano autenticità e identità
inconfondibili, e un grande valore documentale, considerando che il brigantaggio e l’assedio della
fortezza hanno scarse tracce iconografiche. Renato Coccia si presenta con questa rassegna come
l’artista di una controstoria del Risorgimento teramano, mostrando il popolo raffigurato nelle scene
corali, i soldati borbonici, i briganti, come protagonisti di una storia più autentica che merita di
essere ricostruita e riconosciuta. Restituire un volto ai briganti teramani è un’opera di carattere
artistico e insieme di valore storico-antropologico, perché l’artista si è basato su approfondite

conoscenze documentali e sulla ricerca sul campo degli scenari naturali e urbani riprodotti nelle tele
e nei disegni. Attraverso Renato Coccia i briganti teramani ritornano a noi come protagonisti di una
storia che ci parla ancora nelle contraddizioni del nostro presente.